CARMINA MACARONICA SELECTA

"Quid contentandum nisi contentamus amigos? / Hoc mihi servitium facias, tu deinde comanda, / nam, giandussa mihi veniat in culmine nasi, / ni pro te posthac Paradisos mille refudem", Baldus, V, 9, 295-298

sábado, 1 de junio de 2013

VIDA Y OBRA DE TEÓFILO FOLENGO: Hacia un perfil folenguiano


El esbozo de una semblanza vital de Folengo es inseparable de una exposición mínima de las diversas interpretaciones que ha producido la crítica en su análisis de los datos biográficos y la obra literaria del monje benedictino. Francesco de Sanctis rehabilitó en 1870 la figura literaria de Folengo, asignándole el lugar eminente que sin duda merece dentro de la historia de la literatura italiana1. A él se le debe también el primero de los retratos modernos de Folengo: Aceptando sin más como auténticos los datos biográficos ofrecidos en el prefacio2 de la cuarta redacción de las macarroneas folenguianas, que presentan al poeta como un aventurero alocado y errante que cede al eremitismo al final de sus días, De Sanctis hace de Folengo el estereotipo romántico del poeta maldito, cuya comicidad realista actúa como principio demoledor del mundo medieval3.

En 1948 aparece la obra capital de la biografía folenguiana, Tra don Teofilo Folengo e Merlin Cocaio, escrita por Giuseppe Billanovich. Una metódica investigación en archivos de Brescia le permitió a éste, por un lado, desmontar lo que llamó la "leyenda autobiográfica" folenguiana, construida por el autor en las últimas redacciones de sus macarroneas para eludir la reprobación de sus superiores religiosos, y, por otro lado, reconstruir la biografía más bien anodina de un monje básicamente fiel a la ortodoxia benedictina. Poco después, Cesare Federico Goffis, incidiendo en aspectos religiosos e intelectuales, descubrirá en el poeta macarrónico rasgos de heterodoxia basándose en el análisis de la obra de su hermano Giambattista y de alusiones contenidas en la obra del propio Teófilo, que, en opinión de Goffis, se convirtió en el primer luterano de Italia4. Emilio Menegazzo señaló posteriormente las conexiones de Folengo con el reformador valdesiano Benedetto de Mantua5. La incompatibilidad entre la interpretación ortodoxa y heterodoxa ha venido últimamente a ser matizada por Mario Chiesa6, quien sitúa a Folengo en el ambiente del evangelismo italiano, en el que podía profesar tesis de los reformadores sin por eso sentirse enrolado con Lutero contra la Iglesia de Roma, de acuerdo con la confusión religiosa que caracterizaba a la Italia pretridentina.






Imagen: retrato de Teófilo Folengo en una edición del opus macaronicorum de 1768 propiedad de R.Signorini reproducido a su vez en Quaderni Folenghiani I, p. 106.


1  El mérito principal del gran crítico italiano fue su revaloración histórica de Folengo, relegado durante casi tres siglos, al dedicarle un capítulo completo entre los sendos consagrados a otras figuras del quinientos como Ariosto y Maquiavelo. Los aciertos y errores de su interpretación del autor macarrónico fueron determinantes en el desarrollo de la crítica folenguista posterior (cf. A. MOMIGLIANO, o.c. pp. 219-223; R. SCRIVANO, “La proposta folenghiana di De Sanctis”, Atti Convegno 1977, pp. 401-410). Existe una reedición moderna de esta obra publicada por Einaudi, Torino 1958. Folengo es la contraparte bufonesca de Ariosto, el único al que cede en importancia en su tiempo, como afirma Giuseppe Billanovich, Tra don Teofilo Folengo e Merlin Cocai, Pironti, Napoli, 1948.
2 Reproducimos a continuación la parte de la carta de "Vigaso Cocaio alli lettori" en la que se ofrecen noticias biográficas bajo este pseudónimo: "Girolamo Folengo mantoano, et a me discepolo nella professione grammaticale, fu da suo padre mandato a Bologna, ma volse ch'io parimente andassi con esso lui, solamente per guardarlo, che non perdesse il tempo et i danari. Ma sendo egli già cresciuto e fatto tale, che più no mi avesse a temere, come vivace molto, e faceto, e compagnone, si diede in preda alla sviata giovanezza, e posponendo li termini logicai, tutto si congiunse alle muse latine, volgari e macaronesche. Io assai feci per ognimodo riducerlo alla voluntà del padre, ma sempre indarno m'affaticai. Compose egli dunque sotto il nome d'uno furfante detto Limerno in ottava rima la fanciullezza di Orlando paladino, opera ingeniosa et assai mordace. Poi sotto nome di Merlino Cocaio diede principio a i grandi fatti di Baldo in verso eroico e macaronesco, e fecene un volume di venticinque libri. Quattro libri poscia della Moschea, pur sotto il medesimo nome, gli uscirono dalle mani in verso pentametro e macaronico. Successe a lei la Zanitonella con altre cosette facete. Al fine come bizaro e fantastico che era, mandò fuora sotto nome di Triperuno il Chaos in stile ora latino, ora volgare, ora de macaroni. Fatto tutto questo, per un gran disordine e pericolo della vita fummo costretti tornarsi alla patria con la zucca piena più di lasagne che di filosofia. Laonde ebbe egli dal padre tal rimbrotto e reprensione, che in guisa di disperato andò errando per lo mondo, fatto in prima cortegiano, poi soldato, poi romito; al fine con un suo fratello più di lui dotto, si chiuse in una solitudine a darsi totalmente a i sacri libri, ove sotto nome di Teofilo Folengo compose in ottava rima La Humanità di Cristo figliuol di Dio, ove nel principio si dole assai aver perduto gli anni sotto il titolo di Merlino [...] Ancora in un volumetto di Epigramme ha inserto questo assai elegante, e fuora de macaroni: "Quae quondam, fateor, docili mihi floruit aetas / magnificum poterat laudis adire iubar. / At mens decipitur iuvenum, quae lubrica saepe / unde decus poscit, dedecus inde refert. / Cum mihi praeteriti subeunt insomnia Baldi, / tam pudet, ut pudeat non puduisse satis. / Infelix tamen ipse minus fortasse viderer, / lusissem varios si sine dente modos". [...] Or dunque perseverando col frate suo in così buono e securo stato, alfine d'una febre malegna infermato, rese l'anima al suo fattore, la qual cosa udendo io, subito fui col fratello a ritrovar le molte carte da lui scritte. Trovammo, che per cagione di ricantare avea rifatta la Macaronea, come si può leggere tutta tramutata, e di gran lunga più dotta, faceta e onesta della prima [...] Trovammo oltre a questo un Poema vario latinamente scritto, avendo egli omai li macaroni a stomaco, e nausa. Il quale pensamo di far imprimere dapoi questo, acciò si vegga espressamente quanta sia la differenzia tra il nome di Merlino, e quello di Teofilo [...]" (cf. ed. de Luca Curti en "Vigaso Cocaio", Rivista di letteratura italiana, IX, 1991, pp. 121-122). En este artículo Curti demuestra que esta carta no es atribuible a Folengo; es, por ende, la segunda ocasión en las obras folenguianas, tras el Dialogus Philomusi -de la mano del propio autor- del fascículo 2M D de la red. T (cf. Nora Calzolaio, "Il 'Dialogus Philomusi'´: edizione, attribuzione, commento", Quaderni Folenghiani, 3, p.93) en la que aparece el nombre laico del autor, Girolamo.
3 El realismo que De Sanctis sitúa como rasgo esencial del arte folenguiana incitó en la crítica la concepción de un Folengo defensor del mundo popular y su cultura dialectal, y alentó la tesis del macarroneo como contestación a la tradición latina y toscana. Sobre la objeción a este concepto cf. Ricardo Scrivano, "La proposta folenghiana di De Sanctis", Atti Convegno 1991, pp. 407-408: "Restano gli elementi, cui s'è accennato variamente, relativi al realismo folenghiano, che è in linea di principio un particolareggimento ("ricchezza di particolari") che incanta De S. per l'evidenza del referente ("Al poeta non sfugge nulla, i cibi, il modo di apparecchiarli, il desco, l'affaccendarsi di Berta..." [...]) e di conseguenza per l'efficacia del significante ([...] "Lo stile di Merlino [è] un realismo animato da una immaginazione impressionabile e da un umorismo inestinguibile"). [...] A livello cosciente si iscrive perfettamente nell'orizonte ben fissato nella mente di De S. che ciò che è importante è dare l'immagine della cosa, riprodurre il "vivente" direbbe piú tardi sottraendosi, como anche qui, all'ambiguità sollecitante di qualche rapido passaggio. [...] È legittimo allora dubitare che sia formula applicabile ad un poeta in cui la verosimiglianza, la convenienza, l'ordine erano primari oggetti polemici del suo operare letterario e della sua presenza intelettuale, como apertamente dichiara negli ultimi due versi del Baldus: "he heu, quid volui, misero mihi, perditus Austrum / floribus et liquidis immisi fontibus apros" (XXV, 657-58). Sicché anche la nozione di realismo, che può essere stata più suggestiva e più utile in una certa fase o per certi episodi della moderna critica folenghiana, assume alla fine una precisa funzione passiva di contenimento dell'eversività e di riduzione alla ragione dell'esperienza anomala (ma non tanto, occorre dire, alla luce delle recenti ricerche sul complesso della cultura cinquentesca) di Teofilo Folengo". La consideración sentimental de la obra folenguiana ha producido posteriormente retratos tan contrapuestos como el que hace de Folengo un carácter bonachón íntimamente afecto al mundo popular que describe, frente al que hace de nuestro autor un personaje atrabiliario y misántropo recluido en las tinieblas del claustro, "un Savonarola vestido de payaso", en expresiva imagen de F. Salsano (La poesia di Teofilo Folengo. Saggio sopra i luoghi comuni della critica folenghiana, Napoli 1953, p. 126 cit. por F. Márquez Villanueva, o.c., p. 348). La visión romántica desanctiniana, fruto de la cultura del Risorgimento, tiene un interesante epígono en Raffaele Ramat (cf. "Il "Baldus" poema dell'anarchia" en Sette contributi agli studi di storia della Letteratura italiana, Palumbo, Palermo 1958, luego en Saggi sul Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1969, pp. 189-198 cit. por F. Márquez Villanueva, o.c., pp. 347, 354 y C. F. Goffis, "La contestazione...", pp. 86-87), para quien el Baldus supone una burla de los grandes mitos humanos del Renacimiento, fruto de una visión del mundo como caos y tumulto, "risa poética de un ácrata sobre la anarquía del mundo".
4 El veterano folenguista, que dedicó a Folengo su tesis de doctorado en 1935, defiende la heterodoxia religiosa de Teófilo y de su hermano carnal y en religión, Giambattista, a través del análisis de la obra de ambos en estudios como La poesia del Baldus, Genova 1950, L’eterodossia dei fratelli Folengo, Genova, s. a. pero 1950, respuesta a G. Billanovich en su biografía Tra don Teofilo Folengo e Merlin Cocaio, Napoli 1948, donde señalaba la sustancial adscripción de Folengo a la ortodoxia de la orden benedictina, y en los últimos años: “La contestazione religiosa e linguistica nei testi folenghiani”, Atti Convegno 1977, pp. 84-129; “Il macaronico folenghiano fra arte e contestazione”, Maia, XLIV, 1992, pp. 131-145; “Il dantismo eterodosso del “Baldus”, AA.VV., Miscellanea di studi danteschi in memoria di Silvio Pasquazi, 2 voll., Federico & Ardia, Napoli 1993, vol. I, pp. 407-422. Para Goffis la solución del problema religioso, aportando plena luz sobre sus motivos y pasiones, contribuye propiamente a la definición de la poética y de la poesía folenguiana. La parodia es, por tanto, una justificación insuficiente, y puede decirse que latín y dialecto son puestos en conflicto por motivos ideológicos. Folengo, que es un heterodoxo que pasa del erasmismo al luteranismo precozmente, eleva a dignidad literaria una lengua hablada en cierto modo, pues se remonta ésta al filón del hibridismo lingüístico espontáneo, tal como puede verse recogido en innumerables documentos del tardomedievo (crónicas, estatutos, los inventarios eclesiásticos que reproducen el lenguaje de las sacristías y de los monasterios). Goffis quiere mostrar la realidad de la base macarrónica en el lenguaje del vulgo ignorante vivida en los lugares de cultura. La obra de Folengo expresa: “una visión de la cultura como renuncia a lo abstracto, al platonismo y al aristotelismo, a la teología; reducción al pragmatismo de la vida evangélica, esto es, del vivir y actuar con fe sin intelectualismos, que se concretan en la constitución y acción de la Iglesia condenada” (cf. “Il macaronico...”, p. 144). El poeta no recurre al latín y al dialecto con fines paródicos o expresivos, sino para expresar su propia tensión innovadora y restauradora al tiempo: “[...] Folengo siente en el latín el rigor de la espiritualidad sublime, en el lenguaje más rústico la depresión de la inteligencia, la vida reducida a los instintos y a la picaresca, a lo soez” (cf. “La contestazione...”, p. 122).
5 Cf. E. MENEGAZZO, "Contributo alla biografia di Teofilo Folengo (1512-1520)", Italia Medioevale e Umanistica, II, 1959, pp. 367-408 cit. por F. Márquez Villanueva, o.c., p. 345.
6 Cf. M. CHIESA, "1526: Il Folengo e le sue "scorte"", Teofilo Folengo tra la cella e la piazza, edizioni dell'orso, Alessandria 1988, pp. 52-112.